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venerdì 16 gennaio 2015

La perfezione è il tallone d'Achille

Cantona nella famosa "mossa kung-fu"
su un tifoso del Crystal Palace:
gli costerà 9 mesi di squalifica.
Nel film di Ken Loach, “Il mio amico Eric”, un Cantona un attimino impacciato nei panni dell'attore parla con il protagonista del valore sociale del calcio.
Nel dolcissimo dialogo che ne esce si dibatte su quale sia stato il momento più bello per il giocatore, per lui, per Eric.
Non un gol dei 64 confezionati con la maglia dei Red Devils ma un passaggio, un assist.
Un tocco di esterno dal limite dell'area, difesa impreparata che rientra per mettere tutti in fuorigioco e Denis Irwin che con un bel diagonale batte l'estremo difensore avversario.
Nel film Loach gli fa dire che quel tocco sublime e fatato è stato un dono per le divinità del calcio, visione quanto mai romantica.
Credo che il dono però fosse fatto anche a noi.
Cristiano Ronaldo e Messi, primo e secondo nella classifica del pallone d'oro, non fanno niente per noi. Voi non patite e non ci suscitate passione, se per  pathos intendiamo tutto quello che significava nel mondo greco.

La parte irrazionale, mistica che impedisce all'uomo di innalzarsi al livello divino contrapposta al logos.
Io ho amato Recoba, El Chino, e le sue reti impossibili.
Bolidi rabbiosi e soavi, riottosi verso le leggi della fisica.
Tornato ormai nella sua terra natia a deliziare con dolci parabole il suo popolo.
Amo George Best, il quinto beatle, che ha irriso ogni possibile avversario senza ricordarsi che la vita prima o poi il conto te lo presenta sempre.
É stato salato e lui l'ha pagato per la nostra felicità.
Una frase a lui attribuita rende bene il senso di perenne scherzo e burla che albergava nella sua vita screziata da una romantica tristezza.
Io sono l'uomo del peccato, il paradiso non fa per me”.
Nel paradiso pallonaro siede insieme ai grandi.
Adoro Ricardo Bochini, El Bocha, funambolo argentino degli anni'70.
George Best in una macchina sportiva nel 1965
Ha vestito solo una casacca, quella rossa del magico Independiente de Avellaneda.
Esteticamente un postino anni'50, tarchiato, poco muscoloso e anche spelacchiato.
Non me ne vogliano i postini.
Il suo fisico era una bugia.
Il perfetto prototipo del numero 10 argentino.
Non amava correre, non amava segnare ed era dotato di una classe sublime.
A lui hanno dedicato canzoni e poesie.
I suoi discorsi sono da antologia.
Una volta tornato negli spogliatoi all'intervallo di una partita in cui i suoi compagni avevano sbagliato l'impossibile li apostrofò ricordando loro, “ragazzi, se va avanti così mi toccherà fare goal. Vogliamo arrivare a tanto?”.
Difronte alla richiesta di cosa ne pensasse di quel giovane olandese chiamato Cruijff replicò stupito, “Corre molto, però è bravo”.
Partecipò all'edizione mondiale del 1986 ma non da protagonista, quando esordì in quella competizione Maradona gli si fece incontro nel terreno di gioco omaggiandolo con un “Benvenuto Maestro”.
Di difensori ce ne sarebbero tanti da ricordare per il loro esser riusciti a creare empatia con noi umili seguaci.
Uno più di altri rappresenta tutto questo, Paolo Iglesias Montero.
Difensore uruguagio di Atalanta prima e Juventus poi.
Per descrivere l'uomo basta citare le parole di Carlo Ancelotti, suo allenatore alla Vecchia Signora.
Paolo Montero con la maglia
della Nazionale Uruguaiana
Una mattina alle quattro, all'areoporto di Caselle. Tornavamo da Atene, avevamo appena fatto una figuraccia in Champions League contro il Panathinaikos ed abbiamo trovato ad aspettarci un gruppetto di ragazzi che non ci volevano esattamente rendere omaggio. Al passaggio di Zidane l'hanno spintonato ed è stata la loro condanna. Non a morte ma quasi. Montero ha visto la scena da lontano, si è tolto gli occhiali con un'eleganza che pensavo non gli appartenesse e li ha messi in una custodia. Bel gesto ma pessimo segnale perché nel giro di pochi secondi si è messo a correre verso quei disgraziati e li ha riempiti di botte. Aiutato da Daniel Fonseca, un altro che non si faceva certo pregare. Paolo adorava Zizou, io adoravo anche Paolo, puro di cuore e di spirito. Un galeotto mancato ma con un suo codice d'onore”.
Come si fa a non immedesimarsi in un uomo descritto così.
Montero, venendo dall'Uruguay, fa parte di quella scuola calcistica che prevede che il difensore centrale anche se dotato di una buona tecnica debba comunque picchiare in campo.
Per principio e per fede.
C'erano storie bizzarre, pazzie da raccontare.
Poca omologazione.
Ora sono super-star robotiche.
La caduta degli dèi non avviene praticamente mai.
Sembrano non avere le debolezze di noi poveri diavoli e questo li allontana da chi dovrebbero far sognare.
Leggendo l'Iliade tutti i romantici del pallone e della vita avranno sicuramente parteggiato per Ettore, forte e debole, dolce e duro.
Umano, per quanto eroe.
Non superiore all'esistenza.
Nessuno inizialmente avrà visto di buon occhio Achille, troppo perfetto, immortale.
Bizzoso perché conscio della sua superiorità.
Lo abbiamo perdonato solo alla fine, quando un principetto uccidendolo ci ha mostrato il suo essere fallibile.
Perché la vittoria del favorito, favorito dalla vita, dal potere piace meno.

Ad essere onesti a me per niente.

Giulio Mignini

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