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giovedì 18 settembre 2014

La fine del viaggio

"Era il 26 agosto 1926, alle quattro del pomeriggio, i negozi erano affollati, nei magazzini le donne facevano ressa, nelle case di moda i manichini giravano su se stessi, nelle pasticcerie chiacchieravano gli sfaccendati, nelle fabbriche sibilavano gli ingranaggi, lungo le rive della Senna si spidocchiavano i mendicanti, nel Bois de Boulogne le coppie d'innamorati si baciavano, nei giardini i bambini andavano in giostra. A quell'ora, il mio amico Franz Tunda, trentadue anni, uomo giovane, sano e vivace, dai molti talenti, era nella piazza davanti alla Madeleine, nel cuore della capitale del mondo, e non sapeva cosa dovesse fare. Non aveva nessuna professione, nessun amore, nessun desiderio, nessuna speranza, nessuna ambizione e nemmeno egoismo. Superfluo come lui non c'era nessuno". (Joseph Roth, "Fuga senza fine", 1927)


L' "Ulisse", apparso a Parigi il 2 febbraio 1922, è il romanzo più popolare di James Joyce; la storia, costruita per analogie e parallelismi con l'Odissea di Omero, percorre le strade di Dublino attraverso i pensieri (e le azioni) dell'agente pubblicitario Leopold Bloom, un ebreo irlandese di origini magiare. Il romanzo si presenta come un Bildungsroman mancato, al rovescio, dove il protagonista non scopre, e non apprende niente. L'Odissea moderna è l'eroicomica giornata di un uomo qualunque, trascorsa per le strade, i pubs, i bordelli di Dublino, e conclusa nel letto della moglie Molly, appena lasciato dall'ultimo dei suoi amanti.
"Eyes wide shut"(1999), l'ultimo film di Stanley Kubrick, tratto (non casualmente) dal racconto "Il doppio sogno" (1926) di Arthur Schnitzler, è ambientato nella New York di fine secolo; Bill (Tom Cruise), come Leopold, è l'uomo comune, concreto e positivo, in cerca di relazioni umane e nuove esperienze; il suo viaggio notturno, "là dove finisce l'arcobaleno", come gli suggeriscono le due ragazze conosciute alla festa dell'amico Victor, si trasforma rapidamente in una discesa agli inferi, tra ruffiani, prostitute e vecchi guardoni, e si conclude, come un climax, nella interminabile sequenza di coiti meccanici e ripetitivi della festa in maschera al castello. La Vienna ricca e sfavillante d'inizio secolo, dipinta da Schnitzler, con la sua promessa di avventure, piaceri e trasgressioni si riduce alla fine del millennio in una mediocre "sciarada", nella funerea messinscena di coiti senza fine, che condensano la povertà e il declino di un'intera civiltà e del suo immaginario. Se il viaggio di Ulisse era un momento di esperienza, crescita e conoscenza, la città di Bill (e Leopold) è il luogo della perdita di sè, dell'alienazione e dell'incomunicabilità.
Il ritorno dalla moglie, pur salvando Bill(e Leopold) dalle false attrazioni del mondo esterno, è assai meno rassicurante dell'apparenza; lo "scopare" finale pronunciato da Alice (che anche qui somiglia terribilmente al "si" che chiude il monologo di Molly nell'Ulisse) sembra ricostituire l'unità familiare, ma non cancella quel breve quanto ossessivo coito con l'ufficiale di marina sognato dalla moglie, che ricorre nella mente di Bill durante tutto il film (come d'altra parte il "si" di Molly non può far dimenticare i suoi numerosi amanti). E "un sogno - afferma giustamente Bill - non è mai soltanto un sogno...". Le immagini che ci portiamo dentro, ad occhi chiusi, paiono essere tremendamente più vere di quelle che vediamo, o crediamo di vedere, ad occhi aperti. Un paradosso visivo. Eyes wide shut, appunto.
Kubrick sembra quindi voler chiudere idealmente il Novecento proprio com'era cominciato; la perdita di certezze, la crisi dei valori, l'incomunicabilità. La fine del viaggio.

Giulio Aronica



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