Alle ore 9 del 17 Luglio è iniziata
nella striscia di Gaza una “tregua umanitaria” di 5 ore richiesta
dall'ONU e accettata sia da Israele che da Hamas. La tregua serviva
per rifornire la popolazione di alimenti e medicine. E' stata violata
da ambo le parti.
Poi che succederà? Probabilmente la
guerra continuerà. Israele, giusto prima di aderire alla tregua
umanitaria, ha richiamato ben 8,000 riservisti, che fanno salire il
numero totale di militari della riserva arruolati nel conflitto a
48,000 (fonte: ANSA.it).
Questa nuova offensiva israeliana a
Gaza affonda le sue radici nei fatti di Giugno.
L'operazione “scudo difensivo 2” è
stata auspicata dal ministero degli esteri nell'ambito dei funerali
ai tre ragazzi israeliani uccisi, del cui rapimento e assassinio si
pensa sia responsabile Hamas. Nessuna certezza comunque, anzi. Khaled
Meshaal, capo dell'ufficio politico dell'organizzazione
islamico-palestinese, sostiene che i suoi uomini non abbiano niente a
che fare con la faccenda.
In una riunione straordinaria del
gabinetto di governo israeliano convocata da Netanyahu prima dei
funerali si sono discusse varie ipotesi, dalla moderata continuazione
delle “operazioni contro le strutture di Hamas in Cisgiordania e di
ricerca dei rapitori” avanzata dallo Stato Maggiore fino ad un
azione su larga scala nella striscia di Gaza avanzata da Naftali
Bennett del movimento dei coloni. Costui è stato criticato per la
pericolosità delle sue idee dal Ministro della Difesa Yaalon (fonte:
Haaretz). Nel frattempo, per ritorsione viene rapito ed ucciso un
ragazzo palestinese, e alle antecedenti minacce del Ministro degli
esteri israeliano fanno coro quelle di Hamas: “Israele pagherà”.
Intanto, nell'ambito delle ricerche dei presunti assassini dei tre
ragazzi, le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato 42
palestinesi, tutti membri di Hamas, senza che fra questi vi siano i
due sospettati del crimine. Era il 2 Luglio.
Poi la guerra.
L'operazione è chiamata “Confine
protettivo”.
Dopo due giorni di raid aerei
israeliani, il 7 luglio a Gaza si contano 80 morti e 550 feriti,
mentre Hamas risponde con 350 razzi verso i cieli israeliani; non
sono registrate vittime, in quanto i razzi sono intercettati dal
sistema difensivo Iron Drome per un buon 90% (fonte: ANSA.it). Poi,
come detto, l'arruolamento dalle riserve, in vista di una
“probabilissima” operazione di terra che prevederà l'occupazione
completa della Striscia di Gaza. Spuntano dichiarazioni da fonti di
sicurezza israeliane a giornalisti stranieri: “Se vuoi combattere
il terrorismo devi essere sul posto. Dal cielo possiamo colpirli
duramente ma non sbarazzarci di loro. L'occupazione è fattibile in
giorni o settimane al massimo”. Ad oggi, il bilancio è di 230
vittime e 1685 feriti a Gaza, mentre una sola è la vittima: un
volontario che si trovava al confine con Gaza per distribuire cibo ai
soldati israeliani.
Uno. Volontario. Sul confine.
A Gaza le vittime sono quasi tutte
civili. Di qualche giorno fa è la notizia che Israele, 2 minuti
prima di effettuare un raid avverta gli abitanti degli edifici,
invitandoli ad abbandonare la propria casa, perché verrà bombardata
e distrutta. Il segretario generale dell'ONU, Ban Ki Moon, si è limitato a dichiarare che "l'eccessivo uso della forza da parte di Israele sia intollerabile".
Il disequilibrio nella bilancia delle
vittime non è una novità. Nel 2008 secondo i dati di B'Tselem, il
centro di informazioni israeliano per i diritti umani nei territori
occupati registra 868 palestinesi uccisi dalle forze di difesa
israeliane a Gaza, contro i 22 decessi di israeliani per mano di
palestinesi.
La morte è di per sé un fatto
tragico, e in contesti di odio razziale ancor più terribile. Non ne
voglio quindi fare una questione di numeri. E' certo che in questi
anni va in scena una “guerra” fra uno stato che non è uno stato
(Israele non vuole neanche riconoscere alla Palestina lo status di
nazione) ed uno degli stati più ricchi al mondo, sostenuti
politicamente e militarmente dagli USA, che occupano in violazione
del diritto internazionale un territorio che non gli appartiene. Un
territorio colonizzato avidamente, senza condividere nulla con i
precedenti, e legittimi, abitanti. I coloni israeliani diventano così
“teste di ponte” e al tempo stesso esche per le vendette
palestinesi. Ad ogni attacco dei combattenti di Hamas alle colonie,
Israele ha un motivo in più per legittimare agli occhi del mondo
quella che, secondo il linguista, filosofo e teorico della
comunicazione Noam Chomsky è “la fase finale della campagna
decennale di pulizia etnica dei palestinesi. […] Questa non è una
guerra, è un omicidio”.
Pulizia etnica, politica
espansionistica o odio religioso poco importa: il Golia israeliano ha
scelto un Davide senza fionda, ed intende piegarlo al suo volere o
schiacciarlo definitivamente.
Andrea Pecoraro
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