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mercoledì 9 aprile 2014

Il trauma della delusione


Quanto spesso ci è capitato di ricevere domande circa la nostra infanzia? E quanto spesso a questa domanda noi abbiamo risposto: normale, un'infanzia spensierata.
In “Antichi maestri” (Bernhard, 1985), Roger, il protagonista, un anziano critico musicale, in merito al cosiddetto paradiso perduto dell'infanzia introduce il concetto di “trauma della delusione”. “E' probabile che l'infanzia sia sempre un inferno, l'infanzia è l'inferno per eccellenza. La gente falsifica tutto, falsifica l'infanzia che ha avuto. (…) l'inferno non arriva mai perchè l'inferno è l'infanzia”.
Tesi analoghe sono sostenute anche da Alice Miller e Donald Winnicott; la prima propone di riferire i contenuti del luogo comune dell'infanzia felice e spensierata all'abitudine, iniziata nell'infanzia stessa e poi perfezionata, al mondo adultocentrico. Il secondo sostiene che i soggetti caratterizzati da depressione tendono a temere un crollo prossimo che invece è già avvenuto ed è stato dimenticato. L'osservazione di Winnicott consiste dunque nell'attribuire tale paura non a un'angoscia proiettata nel futuro, ma ad un'esperienza anteriore dell'individuo.
“I genitori”, afferma Roger, “mi hanno scaraventato nel buco nero dell'infanzia con la massima spietatezza (...) mi opprimevano i miei genitori, con il loro trauma della delusione (…).
Tale delusione però non è riconducibile al bambino in sé quanto alla macchina educativa, pedagogica, che irresponsabilmente i genitori mettono in moto. I genitori sempre più educatori spesso si trovano intrappolati in una impresa pedagogica destinata fin da subito a essere ingiusta, a produrre nelle migliori delle ipotesi, per dirla con le parole di Freud una “normale infelicità”, il trauma dei genitori di Roger è quello di essere divenuti in un colpo solo un padre e una madre con i loro doveri educativi, oppressivi e repressivi, di essere insomma caduti nel tranello della società.
Allora dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominciò a crescere: e cresci cresci cresci diventò in pochi minuti un nasone che non finiva mai. Il povero Geppeto si affaticava a ritagliarlo; ma più lo ritagliava e lo scorciava, e più quel naso impertinente diventava lungo!”. Il genitore collodiano è un povero cristo alle prese con una nuova versione della fatica di Sisifo: la vita che ha messo al mondo sembra irriducibile alle leggi sociali. “Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su, e cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino. - Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca!- E Pinocchio, in vece di rendergli la parrucca, se la mise in capo per sé (…). A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua: e voltandosi verso Pinocchio, gli disse:- Birba d'un figliuolo non sei ancora finito di fare, e già cominci a mancarmi di rispetto. (…) Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un calcio sulla punta del naso.- Me lo merito!- disse allora tra sé.- Dovevo pensarci prima! Ormai è tardi!-”
La birbanteria di Pinocchio è solo la vita nata e non ancora assoggettata; la tristezza di Geppetto è semplicemente la consapevolezza tardiva e traumatica di quello che ha fatto, di quello che si è fatto.
Alice Miller teorizza che i mali del mondo hanno il loro fondamento nel disagio che i piccoli d'uomo apprendono a considerare come norma nei loro primissimi anni a causa dell'educazione che i genitori, e comunque che gli adulti danno loro.
La Miller considera importante il trauma della nascita. Fin dai primi anni della nostra vita noi cominciamo a subire maltrattamenti, anche solo per carenza di riconoscimento da parte degli adulti.
Oggi i bambini sono spesso figli unici che nascono e crescono circondati da adulti e dalle loro aspettative, non si dà spazio all'innocenza, alla libertà di esperienza, non c'è posto per i Pinocchi, si deve diventare al più presto bambini “veri”, si parla di infanzia adultizzata, di infanzia rubata, in una società dominata dalla tecnica non c'è tempo per passare dal paese dei balocchi.
Ma è davvero giusto non concedere ai bambini il loro paese dei balocchi? Forse gli asinelli sono solo negli occhi degli adulti.


Barbara Ninci.

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