Quanto
spesso ci è capitato di ricevere domande circa la nostra infanzia? E
quanto spesso a questa domanda noi abbiamo risposto: normale,
un'infanzia spensierata.
In
“Antichi maestri” (Bernhard, 1985), Roger, il protagonista, un
anziano critico musicale, in merito al cosiddetto paradiso perduto
dell'infanzia introduce il concetto di “trauma della delusione”.
“E' probabile che l'infanzia sia sempre un inferno, l'infanzia è
l'inferno per eccellenza. La gente falsifica tutto, falsifica
l'infanzia che ha avuto. (…) l'inferno non arriva mai perchè
l'inferno è l'infanzia”.
Tesi
analoghe sono sostenute anche da Alice Miller e Donald Winnicott; la
prima propone di riferire i contenuti del luogo comune dell'infanzia
felice e spensierata all'abitudine, iniziata nell'infanzia stessa e
poi perfezionata, al mondo adultocentrico. Il secondo sostiene che i
soggetti caratterizzati da depressione tendono a temere un crollo
prossimo che invece è già avvenuto ed è stato dimenticato.
L'osservazione di Winnicott consiste dunque nell'attribuire tale
paura non a un'angoscia proiettata nel futuro, ma ad un'esperienza
anteriore dell'individuo.
“I genitori”, afferma Roger, “mi hanno scaraventato nel buco nero
dell'infanzia con la massima spietatezza (...) mi opprimevano i miei
genitori, con il loro trauma della delusione (…).
Tale
delusione però non è riconducibile al bambino in sé quanto alla
macchina educativa, pedagogica, che irresponsabilmente i genitori
mettono in moto. I genitori sempre più educatori spesso si trovano
intrappolati in una impresa pedagogica destinata fin da subito a
essere ingiusta, a produrre nelle migliori delle ipotesi, per dirla
con le parole di Freud una “normale infelicità”, il trauma dei
genitori di Roger è quello di essere divenuti in un colpo solo un
padre e una madre con i loro doveri educativi, oppressivi e
repressivi, di essere insomma caduti nel tranello della società.
“Allora
dopo gli occhi, gli fece il naso; ma il naso, appena fatto, cominciò
a crescere: e cresci cresci cresci diventò in pochi minuti un nasone
che non finiva mai. Il povero Geppeto si affaticava a ritagliarlo; ma
più lo ritagliava e lo scorciava, e più quel naso impertinente
diventava lungo!”. Il genitore collodiano è un povero cristo alle
prese con una nuova versione della fatica di Sisifo: la vita che ha
messo al mondo sembra irriducibile alle leggi sociali. “Appena
finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si
voltò in su, e cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del
burattino. - Pinocchio!... rendimi subito la mia parrucca!- E
Pinocchio, in vece di rendergli la parrucca, se la mise in capo per
sé (…). A quel garbo insolente e derisorio, Geppetto si fece
triste e melanconico, come non era stato mai in vita sua: e
voltandosi verso Pinocchio, gli disse:- Birba d'un figliuolo non sei
ancora finito di fare, e già cominci a mancarmi di rispetto. (…)
Quando Geppetto ebbe finito di fargli i piedi, sentì arrivarsi un
calcio sulla punta del naso.- Me lo merito!- disse allora tra sé.-
Dovevo pensarci prima! Ormai è tardi!-”
La
birbanteria di Pinocchio è solo la vita nata e non ancora
assoggettata; la tristezza di Geppetto è semplicemente la
consapevolezza tardiva e traumatica di quello che ha fatto, di quello
che si è fatto.
Alice
Miller teorizza che i mali del mondo hanno il loro fondamento nel
disagio che i piccoli d'uomo apprendono a considerare come norma nei
loro primissimi anni a causa dell'educazione che i genitori, e
comunque che gli adulti danno loro.
La
Miller considera importante il trauma della nascita. Fin dai primi
anni della nostra vita noi cominciamo a subire maltrattamenti, anche
solo per carenza di riconoscimento da parte degli adulti.
Oggi
i bambini sono spesso figli unici che nascono e crescono circondati
da adulti e dalle loro aspettative, non si dà spazio all'innocenza,
alla libertà di esperienza, non c'è posto per i Pinocchi, si deve
diventare al più presto bambini “veri”, si parla di infanzia
adultizzata, di infanzia rubata, in una società dominata dalla
tecnica non c'è tempo per passare dal paese dei balocchi.
Ma
è davvero giusto non concedere ai bambini il loro paese dei
balocchi? Forse gli asinelli sono solo negli occhi degli adulti.
Barbara
Ninci.
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