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mercoledì 2 aprile 2014

Italicum: disproporzionalità a servizio del bipolarismo


Da tormentone di inizio anno a legge tenuta “a decantare” nei cassetti del Parlamento. L'Italicum, ovvero la proposta di legge elettorale che Matteo Renzi ha formulato di comune accordo con Silvio Berlusconi nel famoso incontro al Nazareno del 18 Gennaio, sta vivendo una fase di stand by. Approvata alla Camera il 12 Marzo, la legge si è arenata al Senato. Andiamo ora ad analizzare nello specifico la nuova legge che con tutta probabilità diventerà ufficialmente la legge elettorale italiana per i prossimi anni ricordandoci però che ogni legge elettorale ha un obiettivo specifico.

Non esiste una legge elettorale perfetta; ogni legge propenderà più per la proporzionalità o la stabilità, per il pluralismo o per il bipolarismo. La proporzionalità, che ha molte probabilità di dare vita ad un parlamento plurale ma a rischio frammentazione, si ottiene con un sistema che ad un numero di voti ottenuti fa corrispondere un numero di seggi in parlamento. La stabilità, che nei canoni democratici moderni si identifica con un bipolarismo con forte probabilità di alternanza, si facilita con strumenti come i collegi uninominali, il premio di maggioranza e le soglie di sbarramento.
Alla luce di questo, è lecito domandarsi quali siano le logiche e gli obiettivi che stanno dietro al nuovo Italicum.
Iniziando dalle basi, le caratteristiche di una legge elettorale sono le circoscrizioni, la cui grandezza è un dettaglio che può influenzare molto l'esito delle votazioni, il metodo di ripartizione dei voti, che cambia dipendentemente dal diverso tipo di algoritmo che si utilizza, ed eventuali elementi “correttivi” come soglie di sbarramento, premi di maggioranza, doppi turni eccetera.
Nell'Italicum le circoscrizioni saranno meno rispetto alla precedente legge Calderoli, con circa 120 collegi plurinominali (circa uno ogni 500mila abitanti) dove verranno eletti da un minimo di 3 Deputati ad un massimo di 6 tramite liste bloccate. Solitamente, più i collegi delle singole circoscrizioni sono grandi, ovvero assegnano un numero più alto di seggi, più i piccoli partiti avranno la possibilità di conquistarne qualcuno. Questa è una valutazione generale; in realtà non esiste una correlazione lineare fra numero di seggi assegnati dal collegio e numero di seggi conquistati, ad esempio, dal terzo o dal quarto partito più votato del collegio. Anzi, è matematicamente dimostrato che in alcuni casi, dipendentemente dall'algoritmo di distribuzione dei seggi utilizzato, aumentare il numero dei seggi assegnati nel collegio può favorire i partiti più grandi: ne è esempio il cosiddetto “paradosso dell'Alabama”. Questo sta a sottolineare che, nell'architettura elettorale, niente è scontato, semplice e talvolta nemmeno prevedibile. Sicuramente più l'algoritmo è semplice, ovvero meno passaggi matematici si utilizzano, più si può prevederne l'effetto sulla distribuzione dei seggi. Il metodo di ripartizione dei voti previsto dell'Italicum è proporzionale, ma con un algoritmo molto elaborato già denominato “flipper” per la sua aleatorietà, data dalla complessità e dal numero dei passaggi matematici previsto. Assicuro che non è immediato capire come i seggi siano ripartiti fra le varie liste, poiché vi sono vari passaggi e molte approssimazioni matematiche nell'algoritmo presente nel testo di legge. Per brevità e pietà del lettore, mi limito a riassumere che vi è un primo calcolo di conversione voti-seggi a livello nazionale ed un secondo a livello circoscrizionale; è previsto che vi siano incongruenze nei risultati ovvero che sommando i tutti seggi assegnati circoscrizionalmente alcune liste ottengano più seggi di quanto stabilito dal calcolo fatto a livello nazionale. I seggi “eccedenti” vengono quindi redistribuiti alle liste in base ad un “lista nazionale residuale” calcolata per ogni circoscrizione, e tramite un altro paio di passaggi matematici si arriva a capire in quale collegio le liste “deficitarie” otterranno i seggi frutto della redistribuzione. Come si può evincere, il meccanismo è complicato e non garantisce che le liste beneficiarie della redistribuzione conquistino il seggio nel collegi dove hanno preso più voti. Anzi, stando alle prime simulazioni il risultato sarebbe contrario: le liste vedrebbero assegnato un seggio di recupero in collegi dove avrebbero preso pochi voti. Da questa aleatorietà della redistribuzione il soprannome “flipper” di cui sopra. In pratica, gli effetti del meccanismo di assegnazione dei seggi sono imprevedibili; non si può sapere se siano a vantaggio dei partiti grandi, medi o piccoli. Probabilmente, non sono a vantaggio di nessuno, mentre sicuramente vanno a svantaggio degli elettori, che ancora una volta si trovano di fronte ad un meccanismo incomprensibile.
Detto questo, l'Italicum si distingue per altre tre norme: le soglie di sbarramento, il premio di maggioranza ed il doppio turno. Le soglie di sbarramento sono molto intuitive: per avere accesso al riparto dei seggi, una coalizione deve aver raggiunto almeno il 12% dei voti validi ed al suo interno deve avere almeno una lista che ha ottenuto non meno del 4,5% a livello nazionale o una lista rappresentate di una minoranza linguistica (per esempio il Ladino) che abbia ottenuto almeno il 20% dei voti validi nella regione in cui si è presentata. Questo per evitare che vi siano maxi–coalizioni di micropartiti: l'esempio più semplice è immaginare una coalizione di dodici formazioni con l'1% dei voti ciascuna. Tale coalizione risulterebbe esclusa dal riparto dei seggi. Per le liste che si presentano sole invece la soglia si alza all'8%, mentre per le formazioni a tutela linguistica la soglia rimane il 20% della regione in cui si presenta. La logica di queste scelte è molto semplice: costringere i partiti sotto l'8% ad entrare in coalizione con i partiti più grandi, proprio nell'ottica di creare un bipolarismo ed evitare un'eccessiva frammentazione del Parlamento. Queste soglie sembrano essere funzionali allo scopo; di tutt'altra natura è il quesito sull'opportunità di introdurre soglie così alte. L'8% dei voti validi sono, stando alle cifre delle elezioni del Febbraio 2013, più di 2.820.000 voti. Sembra eccessivo, in nome del bipolarismo, escludere dalla rappresentanza parlamentare un così vasto numero di elettori che, per motivi propri, non vogliono allinearsi con nessuno dei maggiori poli. Il multipartitismo della Prima Repubblica non è sicuramente auspicabile, ma probabilmente nemmeno il “bipolarismo forzato” lo è, in quanto si è già visto negli ultimi decenni come coalizioni troppo grandi e disomogenee non abbiano poi la forza “politica” di governare stabilmente un paese.
Nell'ottica di assicurare stabilità al futuro governo è stato introdotto un premio di maggioranza, da assegnarsi alla lista o coalizione che risulti la più votata e che raggiunga almeno il 37% dei voti validi. In questo caso, il partito o coalizione in questione riceverà esattamente 340 seggi su 617 (pari al 55% dei seggi totali), mentre i restanti 277 verranno distribuiti proporzionalmente con il meccanismo di cui sopra. Nel caso in cui nessuno raggiunga il 37%, è previsto un secondo turno elettorale al quale parteciperanno solo le due formazioni più votate: infatti, e per fortuna, sono vietati apparentamenti fra liste post primo turno. Per chi vince questo secondo turno è previsto un premio di maggioranza “ridotto”, ovvero pari a 327 seggi invece di 340, pari al 53% degli scranni parlamentari.
Se la logica del premio di maggioranza è quella di assicurare la stabilità ed aumentare la forza politica del governo, non è chiaro perché nel caso di una vittoria al ballottaggio si debbano ricevere meno seggi. Il premio di maggioranza è uno strumento che di per sé crea una disproporzionalità fra seggi assegnati e voti ricevuti; quindi mitigare il premio assegnato al ballottaggio con 13 seggi in meno non ha molta logica, poiché non rende il sistema sostanzialmente più proporzionale ma rende il governo politicamente più debole. É come se si volesse cercare di dare equità ad una legge elettorale che equa non è: abbinare infatti le forti limitazioni per accedere al riparto dei seggi di cui sopra con un premio di maggioranza crea ovviamente un grosso deficit di proporzionalità. A questo punto, probabilmente, sarebbe stato più saggio assegnare un premio di maggioranza un pochino più cospicuo abbassando le soglie di sbarramento: non sarebbe stato comunque un sistema equo, ma avrebbe garantito la stabilità del governo e la pluralità del parlamento. Pluralità di idee, di valori, e anche semplicemente di punti di vista che non solo la politica, ma anche la società italiana, sta irrimediabilmente perdendo.


 Andrea Pecoraro

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