Collaboratori

mercoledì 2 aprile 2014

Rossellini, Antonioni, Sorrentino: il cinema italiano tra educazione allo sguardo e ricerca dell'Io


Che cos’è la “Grande Bellezza”? La Grande Bellezza è Roma, le sue chiese, i suoi anfiteatri, le statue classiche, le bellezze artistiche e naturali che l’uomo moderno, distratto dal rumore delle feste insulse, dal chiacchiericcio e dal proprio egoismo, non riesce più a vedere. Il viaggio di Jep Gambardella, l’anziano viveur interpretato magistralmente da Toni Servillo, nella Roma meravigliosa e decadente dei tempi nostri si presenta prima di tutto come una lenta educazione allo sguardo. Il ritorno alle radici classiche e cristiane della nostra civiltà parte dalla riscoperta dei suoi tesori sepolti e dimenticati, visibili e invisibili, che risplendono alla luce dell’alba davanti agli occhi allucinati del protagonista.
La ricerca dell’io e il rapporto con il paesaggio è un motivo costante di tutta la cinematografia italiana del secondo dopoguerra, e abbraccia autori molto diversi tra loro, come De Sica, Rossellini e Antonioni. Nel cinema neorealista, il protagonista è un semplice “personaggio-guida”, che, pedinato dalla cinepresa, ci porta dentro le periferie romane (Ladri di biciclette), la povertà dei pescatori siciliani (La terra trema), e le macerie della Germania post-bellica (Germania anno zero). A livello stilistico, il piano sequenza (l’inquadratura lunga del cinema delle origini, senza stacchi di montaggio) e la profondità di campo allungano i tempi del racconto e allargano gli orizzonti del visibile. Il film neorealista chiede quindi non solo di essere “letto” attraverso le storie dei suoi personaggi, come accadeva nella commedia classica hollywoodiana, ma di essere guardato, osservato. A partire dagli anni Cinquanta, nel cinema italiano si intensifica il rapporto tra l’io e l’universo circostante; nel film “Viaggio in Italia”(1954) di Rossellini, Katherine Joyce (Ingrid Bergman) e suo marito rappresentano il mondo moderno, ricco e industriale che si immerge nell’universo povero e affamato, ma denso di umanità e spiritualità, della città di Napoli, con le sue radici classiche e mediterranee, che rivivono durante la visita di Katherine al Museo Nazionale. Le statue greche, il fauno ubriaco, l’Ercole Farnese, il tempio di Apollo e, soprattutto, Pompei con i due corpi abbracciati e carbonizzati, simbolo della precarietà della vita, hanno un effetto straniante su Katherine, che impara – e noi con lei - a guardare la realtà da una prospettiva completamente diversa, e, nel rapporto con l’”altro”, ritrova se stessa e la capacità di vedere il mondo.
L’interazione tra io e realtà conduce ad esiti meno rassicuranti nel cinema di Michelangelo Antonioni; per Antonioni, l’atto di fare cinema e quello di guardare sono sostanzialmente la stessa cosa. Eppure, i suoi personaggi si muovono incerti, confusi, si perdono nel paesaggio e spariscono dall’inquadratura, senza sapere – e noi con loro – dove andare e che cosa guardare. Come l’uomo moderno, sembra dirci Antonioni, scopre di non essere al centro del mondo, così i suoi personaggi sono i protagonisti di storie capitate ad altri, mancate o non finite, dove non accade assolutamente nulla. La realtà si presenta come un campo di sguardi, di possibilità, di punti di vista infiniti, in cui l’uomo rischia sempre di perdersi. L’incomunicabilità dei suoi film è quindi l’incapacità di capire gli altri e il mondo, di comprendere quello che egli stesso chiama “il mistero dell’immagine”. L’unica certezza sembra essere la morte della prospettiva rinascimentale, della rappresentazione classica, che, come suggerisce il celebre finale di Zabriskie Point, esplode in una miriade di frammenti, luci e colori, sulle note dei Pink Floyd.
Non è possibile non citare infine un capolavoro più recente di Gabriele Salvatores ,“Mediterraneo” (1991), dove la fuga, oltre ad un estremo atto di protesta politica e sociale, assume un valore esistenziale, e diviene l’unico modo per sentirsi vivi e ritrovare l’armonia con la natura e le persone, riscoprendo le bellezze storiche e naturali del Mediterraneo. Lo sguardo e l’identità. Ancora una volta. E torniamo all’inizio del nostro breve viaggio.
Dice Rossellini che il realismo è un atto di “amore, rispetto e curiosità” verso l’altro, e forse sembra essere proprio questo l’insegnamento del cinema italiano: la ricerca dell’io parte dal rapporto con l’alterità, dall’abbandono delle proprie certezze morali e culturali per salpare in mare aperto, dalla valorizzazione delle radici e del passato, dalla grande bellezza attorno a noi. Scrive Marcel Proust che “l’unico vero viaggio, l’unico bagno di giovinezza sarebbe vedere l’universo con gli occhi di un altro”.



Giulio Aronica

1 commento: