“Io ne ho viste di cose che voi umani
non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo
dei Bastioni di Orione, e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino
alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel
tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”.
Il celebre monologo finale di Blade
Runner (1982), il capolavoro di Ridley Scott, sospeso tra l’euforia
spettacolare e citazionista del cinema postmoderno e lo stile pensoso
e malinconico di quello moderno, viene pronunciato da Roy(Rutger
Hauer), un Nexus 6, l’ultima versione di androidi prodotti dalla
Tyrell Corporation. Roy, fuggito dalle colonie extramondo insieme ad
altri quattro compagni, è capace di provare emozioni e ricordare il
passato, ma vorrebbe vivere più dei quattro anni stabiliti nel
momento della sua immissione. Alla fine, è costretto ad accettare la
sua condizione, e muore serenamente, davanti agli occhi di Rick
Deckard (Harrison Ford), il detective incaricato di ucciderlo.
Secondo il
filosofo Martin Heidegger, il “pensiero calcolante”, quel sapere
che considera ogni ente come strumento, si estrinseca nella
modernità attraverso il predominio della tecnica e della scienza su
ogni aspetto della vita umana. Nel mondo della ragione calcolante -
perfettamente rappresentata dalla scenografia di Syd Mead, che
raffigura una città inquinata, caotica e opprimente - tutto risponde
alla logica del consumo. Eppure, Roy oppone al primato della tecnica
un altro linguaggio, poetico e filosofico, che Heidegger chiama
“pensiero rammemorante”; si tratta di un pensiero abissale,
originario, che concerne il mondo dei significati, il senso delle
cose, il mistero dell’essere. E’ il linguaggio dei sogni, dei
ricordi, delle emozioni. Più umano degli umani. Un paradosso.
La sequenza finale è un’altra delle
pagine controverse del film; la casa di produzione impose infatti un
finale posticcio e consolatorio, in cui Deckard e Rachel fuggono da
Los Angeles verso un altro pianeta incontaminato; nel director’s
cut, invece, Deckard trova un origami a forma di unicorno –
lasciato probabilmente da Gaff -, lo stesso che aveva sognato in
precedenza. Anche Deckard scopre quindi di essere un replicante, uno
strumento, un oggetto, proprio come gli altri Nexus 6. Rimane solo la
fuga con la donna amata. Incerta. Come tutto il resto.
“La voce della luna”(1990),
ispirato al “Poema dei lunatici” di Ermanno Cavazzoni, è
l’ultima pellicola di Federico Fellini; nel film, il prefetto
Gonnella (Paolo Villaggio) e il giovane Ivo Salvini (Roberto Benigni)
trascorrono insieme la notte, inseguendo sogni e ascoltando la voce
della luna che viene dai pozzi. La coppia viene derisa dall’autorità,
che cerca di rieducare il giovane Ivo, e dalle popolazioni locali,
che per esorcizzare il mistero della luna ne catturano una fetta e
organizzano un banchetto per festeggiare. La realtà dei sogni, della
poesia si infrange contro la volontà di potenza degli uomini, che,
con l’ausilio della tecnica, cercano di dominare quello che non
riescono a capire. Eppure, “io credo che se ci fosse un po’ di
silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa
potremmo capire”. Nel notturno felliniano, Ivo riesce ancora a
sentire, da lontano, la voce della luna.
Giulio Aronica
Nessun commento:
Posta un commento