Quello che sta accadendo
in queste settimane nella provincia russa-ucraina della Crimea sta
dominando i notiziari di tutto il mondo. La provincia, a maggiornaza
etnica russa, ha autonomamente indetto un referendum (illegale,
secondo la Costituzione ucraina) per staccarsi dallo stato ucraino ed
entrare a far parte della federezione russa. La parte “occidentale”
del mondo non riconosce la validità del referendum, e quindi
considera illegale l'annessione della penisola da parte della Russia,
mentre i cittadini della Crimea invocano il diritto di
auto-determinarsi socialmente e politicamente come provincia russa,
volontà che sta alla base del referendum che ha visto il 97% della
popolazione votare a favore dell'entrata della penisola nella Russia
federale.
Enunciato dal Presidente
degli Stati Uniti Woodrow Wilson durante i Trattati di pace di
Versailles nel 1919, il principio di auto-determinazione dei popoli è
una norma di diritto internazionale riconosciuta anche dall'ONU, che
lo individua come un fine dell'associazione e lo inserisce nella sua
“Carta” nell'articolo 1 del Capitolo 1, che recita: “Sviluppare
tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul
principio dell'eguaglianza dei diritti e dell'auto-determinazione dei
popoli...”. Eppure la memoria storica insegna che furono
proprio i trattati di Versailles, teatro dell'enunciazione
dell'illuminato principio, a creare i presupposti per il conflitto
più atroce della storia dell'umanità, la seconda guerra mondiale.
Se fosse stata veramente l'auto-determinazione a guidare quei
trattati di pace, probabilmente il Sud-tirolo tedesco e l'Istria
slava non sarebbero passati all'Italia, così come l'Alsazia-Lorena e
i Sudeti, entrambe a maggioranza tedesca, non sarebbero stati annessi
rispettivamente alla Francia e alla Cecoslovacchia senza nessun tipo
di referendum popolare. Allora, i popoli delle regioni in questione
non si “auto-determinarono”, ma furono arbitrariamente strappati
ai vinti ed annessi dai vincitori. Questa grande incorenza di
Versailles, che purtroppo non fu l'unica, produsse una serie di
storture che portarono, dopo una ventina d'anni, ad un altra
terribile guerra.
Ignorato a Versailles, il
principio di auto-determinazione torna in voga nel dopoguerra,
entrando a far parte sia della carta dell'ONU sia nell'Atto Finale
della “Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa”
di Helsinki del 1975 e viene invocato a più riprese nel processo di
decolonizzazione. Il fatto curioso che ci riporta ai giorni nostri ed
ai fatti di Crimea avvenne durante i primi anni 90' con la
dissoluzione della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia.
Esattemente il 5 Aprile 1992 il Presidente bosniaco Alija
Izetbegovic, a seguito di un referendum popolare dichiarato
incostituzionale dal governo centrale jugoslavo, proclamò la
Bosnia-Herzegovina indipendente dalla federazione jugoslava. A tale
referundum partecipò il 67% della popolazione bosniaca, che per il
99,4% si espresse in favore dell'indipendenza. Il 7 Aprile, la
Comunità Europea e gli Stati Uniti riconobbero il nuovo stato, così
come gli altri stati che via via si dichiararono autonomamente
indipendenti e si staccarono dalla Jugoslavia, portando così la
federazione a dissolversi.
In questo articolo, intendiamoci, non si vuole prendere una posizione sulla questione di Crimea, né sulla questione Jugoslava. L'idea è fare un ragionamento generale sul principio dell'auto-determinazione e capire se è opportuno appellarsi a tale diritto ogni qual volta vi è una disputa fra indipendentismi e stati nazionali. La Crimea, russa dal 1783 fino al 1954, ha illegalmente indetto un referendum per la sua annessione allo stato Russo. Azione condannata da tutti gli organismi internazionali ed occidentali, oltre che dagli stessi Stati Uniti. Al contrario, nel caso bosniaco, gli stessi organismi non tardarono più di due giorni a riconoscere l'indipendenza della Bosnia dallo stato federale jugoslavo. E' ovvio che le due situazioni non sono speculari, ma è altrettanto ovvio che gli organismi internazionali come l'Unione Europea e ONU non si muovono secondo logiche dettate dalle loro carte fondamentali. E' quindi opportuno che si parli, anche sui maggiori quotidiani nazionali, ancora dell'auto-determinazione dei popoli come valore fondante della democrazia? Non è abbastanza ovvio che questo principio è “servo” di logiche di geopolitica che ben poco hanno a che fare con i popoli in questione? Ovviamente la Bosnia è stata riconosciuta immediatamente per spingere la Jugoslavia, paese non allineato ma comunque socialista, verso la dissoluzione. Altrettanto ovvio è che la Crimea, sede del porto militare russo di Sebastopoli e sbocco sul Mar Nero, è un territorio di vitale importanza strategica, commerciale e militare. Per questo la Russia ha immediatamente accolto le istanze della popolazione, anche se esplicitate tramite un referendum illegale, e per questo gli Stati Uniti si sono affrettati a non riconoscere la volontà della popolo di Crimea di “auto-determinarsi”. Che dire poi degli indipendesmi che nascono in seno agli stati occidentali? E' di pochi giorni fa la notizia che la Corte Costituzionale spagnola ha bocciato il referendum per l'indipendenza indetto dalla Catalogna, comunidad autònoma dotata di assemblea regionale e lingua propria. Che intende fare l'Unione Europea al rispetto? Ovviamente niente. Che dire poi del Veneto, che ancora pochi giorni fa, ispirato dai fatti di Crimea e dalla proposta di referendum catalana, ha riaffermato un istanza indipendentista sulla scia della “Liga Veneta” che poi diede vita alla Lega Nord?
In questo articolo, intendiamoci, non si vuole prendere una posizione sulla questione di Crimea, né sulla questione Jugoslava. L'idea è fare un ragionamento generale sul principio dell'auto-determinazione e capire se è opportuno appellarsi a tale diritto ogni qual volta vi è una disputa fra indipendentismi e stati nazionali. La Crimea, russa dal 1783 fino al 1954, ha illegalmente indetto un referendum per la sua annessione allo stato Russo. Azione condannata da tutti gli organismi internazionali ed occidentali, oltre che dagli stessi Stati Uniti. Al contrario, nel caso bosniaco, gli stessi organismi non tardarono più di due giorni a riconoscere l'indipendenza della Bosnia dallo stato federale jugoslavo. E' ovvio che le due situazioni non sono speculari, ma è altrettanto ovvio che gli organismi internazionali come l'Unione Europea e ONU non si muovono secondo logiche dettate dalle loro carte fondamentali. E' quindi opportuno che si parli, anche sui maggiori quotidiani nazionali, ancora dell'auto-determinazione dei popoli come valore fondante della democrazia? Non è abbastanza ovvio che questo principio è “servo” di logiche di geopolitica che ben poco hanno a che fare con i popoli in questione? Ovviamente la Bosnia è stata riconosciuta immediatamente per spingere la Jugoslavia, paese non allineato ma comunque socialista, verso la dissoluzione. Altrettanto ovvio è che la Crimea, sede del porto militare russo di Sebastopoli e sbocco sul Mar Nero, è un territorio di vitale importanza strategica, commerciale e militare. Per questo la Russia ha immediatamente accolto le istanze della popolazione, anche se esplicitate tramite un referendum illegale, e per questo gli Stati Uniti si sono affrettati a non riconoscere la volontà della popolo di Crimea di “auto-determinarsi”. Che dire poi degli indipendesmi che nascono in seno agli stati occidentali? E' di pochi giorni fa la notizia che la Corte Costituzionale spagnola ha bocciato il referendum per l'indipendenza indetto dalla Catalogna, comunidad autònoma dotata di assemblea regionale e lingua propria. Che intende fare l'Unione Europea al rispetto? Ovviamente niente. Che dire poi del Veneto, che ancora pochi giorni fa, ispirato dai fatti di Crimea e dalla proposta di referendum catalana, ha riaffermato un istanza indipendentista sulla scia della “Liga Veneta” che poi diede vita alla Lega Nord?
Si può
parlare in questi casi di principio di auto-determinazione?
Il
dibattito resta aperto. Concludo citando la Corte Suprema Canadese,
che nell'ambito della valutazione delle istanze di indipendenza del
Québec, ha stabilito tramite la sentenza 385/1996 che sono
autorizzati ad avvalersi del principio di auto-determinazione solo
“ex colonie, popoli soggetti a dominio militare straniero
e gruppi sociali le cui autorità nazionali rifiutino un effettivo
diritto allo sviluppo politico, economico, sociale e culturale”.
Anche se questo è il punto di vista canadese sulla questione. Forse
la chiave di lettura è tutta qui: l'auto-determinazione è questione
di punti di vista.
Andrea
Pecoraro
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