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martedì 10 marzo 2015

Robin Friday, il sesto Beatle

"Sul campo odio tutti gli avversari. Non me ne frega niente di nessuno. La gente pensa che io sia pazzo, un pazzo. Io sono un vincitore ".

Ecco a voi Robin Friday.
Potrei chiuderlo qui l'articolo anche se si tratta più di un omaggio postumo.
Leggi della sua vita e ti innamori.
Vorresti averlo visto giocare perché chi l'ha fatto dice che fosse sublime.
Il ragazzo in questione nacque ad Acton, quartiere workingclass londinese, il 27 luglio 1952.
Talento precoce, a dodici anni milita nella scuola calcio del Crystal Palace, a tredici passa al Queen's Park Rangers e a quattordici lo troviamo nei giovanissimi del Chelsea.
I numeri erano dalla sua parte ma il carattere turbolento non lo aiutava.
Non ha mai militato in First Division né ha mai indossato la maglia con i tre leoni ( nazionale inglese ).
Nessuna squadra professionista crede in lui, non tanto per le doti quanto per il suo modo di vedere la vita e di approcciarsi ad essa.
Diciamo, per rendere bene l'idea, che scopava di brutto la sua esistenza mentre noi comuni mortali abbiamo un approccio più romantico e dolce.
Lo tesserano i semi-dilettanti del Walthamston Avenue, dieci sterline a settimana e un lavoro come asfaltatore.
Nel 1971 passa all'Hayes e rischia seriamente la vita in un incidente sul lavoro.
Cadendo da un tetto centra in pieno un grosso palo che gli perfora una natica e sfiora un polmone, leggenda vuole che si sia liberato da solo e dopo tre mesi è di nuovo arruolabile per giocare.
Ovviamente alla sua maniera.
L'Hayes dovette cominciare una partita in dieci perché Friday non si trovava ma chi lo conosceva poteva immaginarsi dove fosse.
Si presentò in campo a partita iniziata da dieci minuti ridotto ad uno straccio, aveva fatto una capatina al pub dello stadio, e iniziò a vagare per il campo come un fantasma.
Gli avversari non si degnarono di tenerlo d'occhio e fu un fatale errore per loro, a pochi minuti dal fischio finale raccolse un lungo lancio e depositò il pallone in rete, fu il gol vittoria.
Dopo questa impresa rivolto al suo allenatore esclamò, Visto stronzo?! Adesso torno a bere là fuori. Vedi di non rompermi più i coglioni.
In Coppa d'Inghilterra la squadra avanza fino a battersi con il Reading che militava in quarta divisione.
Il suo Hayes fu eliminato ma l'allenatore dei Royals, soprannome del Reading, ne rimase talmente impressionato che decise di acquistarlo per 750 sterline, non dando peso alle voci che circolavano sul conto di Friday.
Le sue stagioni al Reading sono fatte di alti e bassi, montagne russe emotive che lo portano ad essere decisivo per la squadra come ad essere una mina vagante pronta ad esplodere.
Piovono cartellini rossi e gialli senza alcuna preferenza cromatica come giocate che fanno sfregare mani, stropicciare occhi e battere forte i cuori di chi lo osserva.
Nella terza stagione nei Royals segna uno dei suoi più bei gol trascinando la squadra alla promozione in terza divisione.
Ricevuto un pallone a mezza altezza, spalle alla porta e una decina di metri fuori area, fa qualcosa per lui di normale quanto per noi comuni e piatti esseri umani di dolcemente folle.
Stoppa il pallone di petto e senza voltarsi in rovesciata spedisce la sfera di cuoio all'incrocio dei pali della porta avversaria.
Semplicemente bellissimo.
La bellezza a questi livelli è di una semplicità sconvolgente, abbagliante.
Se la osservi ti immobilizza, ti fa sentire insignificante nel non riuscire nemmeno a pensare di poterla emulare.
Tutti restano sbigottiti compreso l'arbitro che a fine partita va a complimentarsi con lui dicendogli che è il gol più bello che abbia visto.
La risposta tagliente non si fa attendere, Davvero? Allora dovresti venire a vedermi giocare più spesso.
A promozione ottenuta in campo, corre verso un poliziotto lo afferra e lo bacia.
Quando dopo gli verrà chiesto conto della sua bizzarra azione dirà, Lo avevo visto tutto serio, invece era un momento di festa. Ma mi sono pentito di averlo fatto, visto che odio così tanto i poliziotti.
Per dissidi con il presidente del Reading viene venduto al Cardiff che milita in seconda divisione.
Al suo debutto contro il Fulham, dopo una notte passata a bere birra (si dice dodici pinte), segna due gol e strizza le palle ( uso volutamente il termine “palle” perché “testicoli” fa tanto borghese e offenderei la memoria di Friday ) a colui che doveva tenerlo a bada in campo, il leggendario Bobby Moore, pilastro della nazionale campione del mondo nel 1966.
A Cardiff però non si trova bene, ogni volta che può torna nella sua Londra.
Negli innumerevoli viaggi in treno non paga mai il biglietto utilizzando un escamotage che nasconde il suo genio.
Aspetta che un passeggero vada in bagno, appena il malcapitato chiude la porta lui bussa in maniera energica fingendosi il controllore ( TICKET PLEASE ) e quando quello passa il tagliando sotto la porta per mostrarlo se ne appropria e si rimette al suo posto.
Arriviamo al capitolo conclusivo della sua carriera da calciatore.
Il primo anno nel Cardiff si conclude con la salvezza del club, la nuova stagione vede il nostro ragazzo lontano dai campi per i primi tre mesi perché colpito da uno strano male che gli fa perdere dieci chili.
Quando torna a calcare i campi da gioco l'avversario di turno è il Brighton & Hove Albion.
Il suo avversario di giornata è Lawrenson di nome Mark.
Stopper vecchio tipo, di quelli che non lesinavano pedate, che ne davano anche quando non serviva solo per rimetterti in riga.
Solo che Robin non si faceva certo intimorire da calci e botte e all'ennesima entrata in scivolata del signor Lawrenson decise bene di rendergli un calcione in pieno volto.
Ovviamente il direttore di gara non poté far altro che mostragli il cartellino rosso.
A quel punto Friday indemoniato come non mai imboccò la via dello spogliatoio ma non per andare a farsi la doccia e calmare i bollenti spiriti bensì si recò in quello degli avversari e piazzò una cacata fumante nella borsa dello stopper violento.
Come a voler dire, fai lo stronzo con me?, bene, so essere un vero bastardo io.
La misura è colma e finito fuori squadra a fine anno annuncia il suo ritiro dal calcio giocato.
Ha solo 25 anni.
Torna a Londra e riprende il lavoro di asfaltatore.
Si presenta da lui Maurice Evans, manager del Reading, per chiedergli di tornare nei Royals, costretto a questo gesto da una petizione popolare dei tifosi.
Rifiuta l'ingaggio alla sua maniera, chiede al suo interlocutore quanti anni abbia e saputa l'esatta età aggiunge, Ho la metà dei tuoi anni e ho già vissuto il doppio di te.
La sua vita è sempre più rocambolesca e folle.
Ha due abitazioni, una è una casa popolare ad Acton, il suo quartiere natio, l'altra è una stanzetta di due metri per tre con delle sbarre ad intervallare la vista dell'esterno.
I meno romantici la chiamano cella.
Vi finisce perché, travestito da poliziotto, sequestra droga che poi ovviamente consuma con una certa voracità.
Muore il 22 dicembre del 1990 e raggiunge tutto un manipolo di geniali pazzi che ci hanno allietato non solo nel calcio ma in tutte le forme di arte possibile.
Ad Acton amano dire che se Best era il quinto Beattle allora Friday era il sesto.
Di loro Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool, disse “Robin Friday inizia dove finisce George Best. Insieme non avrebbero potuto giocare: la loro squadra sarebbe scesa in campo già in 9 uomini. A volte per una rissa, a volte per qualche donna, a volte per molto alcol. Però, non vederli insieme, è e sarà il più grosso rammarico che questa nazione si porterà dietro per sempre”.
Corrotti, geniali, marci e debosciati.
Con il pallone tra i piedi però sarebbero stati bene insieme agli Angeli dalla faccia sporca, Angelillo,Sivori e Maschio.
Forse si sarebbero trovati bene anche in qualche serata al night.

Amo la droga perché mi fa stare bene. Amo l'alcol perché con lui io sono un altro. Amo le donne perché loro amano me. Ed amo il calcio perché è l'unica cazzo di cosa nella vita che so fare meglio di Dio e di chiunque altro su questa corrotta e schifosa terra.


Robin Friday.


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