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mercoledì 24 giugno 2015

Come leggere il voto amministrativo. Istruzioni per l'uso

Premesso che trasferire sul piano politico nazionale le vicende locali è un' operazione rischiosa, sopratutto quando si recano alle urne meno di un elettore su due, le recenti elezioni amministrative segnano un deciso arretramento del pd rispetto alle trionfali europee del 2014. La minoranza del partito ha attribuito il calo di consensi alle scelte del governo su temi sensibili quali lavoro, scuola e immigrazione. Questa spiegazione mi convince solo in parte. Guardiamo i numeri.

Nel 2014, quindi ben prima delle polemiche sul jobs act, la buona scuola e l'emergenza profughi, Renzi trionfava alle europee con un rotondo 40.8%, staccando il Movimento 5 stelle di quasi 20 punti. Nella stessa giornata, con un campione del tutto omogeneo, il pd perdeva Livorno, Perugia, Padova, Potenza e Urbino. Una Waterloo. Nel dettaglio, il pd passava a Livorno dal 53% delle europee al 35% delle comunali (-18%), a Perugia dal 48.5% al 35% (-13.5%), a Padova dal 41.4% al 24.9% (- 16.5%), e così via. Le difficoltà del pd sul territorio si sono evidenziate clamorosamente qualche mese dopo, in Emilia-Romagna, quando, con un'astensione record mai vista da quelle parti, il pd, pur conservando il governo della regione, perdeva 8 punti percentuali sulle europee, e oltre 700.000 voti assoluti. Sembra configurarsi una certa dicotomia negativa tra il PdR, il Partito di Renzi, e il PdT, il Partito del Territorio, perlopiù ancora in mano alla vecchia Ditta dalemian-bersaniana, nelle regioni rosse, e ai soliti, eterni capi bastone nel Mezzogiorno.
Non dev'essere tuttavia molto consolante per il Presidente del Consiglio vedere come il segretario nazionale del pd non sia riuscito dopo oltre un anno a rottamare un accidenti, e anzi, la classe dirigente che cerca faticosamente di proporre a livello locale è talmente impalpabile da raccogliere meno consensi dei cosiddetti rottamandi, che almeno possono appoggiarsi alla tradizionale rete delle cooperative e dei sindacati (Rossi in Toscana, Marini in Umbria, Ceriscioli nelle Marche, Zingaretti nel Lazio), oppure a rapporti personali e d'interesse consolidati nei decenni (Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Oliverio in Calabria). Nel mezzo, c'è il PdR, il Partito di Renzi, una creatura amorfa, priva di organizzazione e classe dirigente, e senza le risorse economiche e mediatiche di cui disponeva Silvio Berlusconi, l'alfiere del partito liquido, o partito azienda (e forse, ora si capisce meglio il senso più autentico del Patto del Nazareno, frettolosamente archiviato da Renzi in nome di una pax interna mai realizzata).
Berlusconi ce lo siamo tenuti vent'anni, Renzi rischia di durare molto meno. Nella primavera 2016, si vota a Milano, Torino, Napoli, Bologna e (forse) Roma, e sarà un po' difficile spiegare che si tratta solo di un voto locale.

Giulio Aronica

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