Con le elezioni in Ungheria
di pochi giorni fa, siamo di fronte ad una nuova avanzata dei partiti
neonazisti ed antieuropeisti in Europa. Jobbik, partito di
ultradestra Ungherese, ha conquistato ben il 20,5% dei voti,
affermandosi come il terzo partito magiaro. Supporta l'organizzazione
paramilitare denominata “Guardia Nazionale Ungherese” ed è un
partito a forti tinte nazionaliste, razziste (in particolare
anti-rom) ed antieuropeiste.
Basti pensare che pochi mesi fa a
Budapest un parlamentare di Jobbik ha, durante un comizio,
bruciato una bandiera dell'UE. In Grecia la situazione è ancor
peggiore, considerando che Alba Dorata, partito anch'esso contrario
all'Unione Europea che più esplicitamente di Jobbik si rifà
ad Hitler ed alla razza ariana, ha conquistato circa il 7% alle
elezioni politiche del 2012, raggiungendo il 10% dei voti
nell'Attica. Diversa la situazione in Ucraina, dove Svoboda,
partito anch'esso razzista di matrice nazista, non è antieuropeista
bensì europeista (apparentemente) convinto, in quanto si distingue
per una forte opposizione al comunismo che si è modernamente
tradotta in un'avversione alla Russia ed alla sua influenza. Alle
elezioni politiche del 2012 Svoboda conquista per la prima
volta un posto in parlamento grazie all'ottimo 10.4% dei voti, che lo
porta a diventare il quarto partito ucraino con ben 38 seggi. In
questo momento, dopo la nota rivoluzione contro Yanukovic, i
Ministeri della Difesa, Agricoltura e delle Risorse Naturali ed il
ruolo di Vice primo ministro sono in mano a esponenti di questa
formazione politica. E' chiaro che al momento Svoboda auspica
un alleanza economica e militare con l'UE e l'occidente per smarcarsi
dall'influenza russa; mi domando quale sarà la loro posizione
riguardo alla stessa UE se dovesse accogliere l'Ucraina al suo
interno e, nella cornice di una forte crisi economica ed
occupazionale, imporre le drastiche misure economiche che ha subito
la Grecia.
Oltre a queste forze
estremiste, in Europa si sta affermando anche un antieuropeismo non
marcatamente neonazista, ma che comunque adotta toni molto forti,
talvolta violenti. Il riferimento è al Front National di
Marine Le Pen ed al MoVimento 5 Stelle di Giuseppe Grillo. Se
il partito della Le Pen, forte della vittoria in ben 13 Comuni
alle recenti elezioni amministrative francesi, è segnatamente un
partito di destra nazionalista, il MoVimento di Grillo galleggia fra
proposte di stampo nazionalsocialista come il reddito di cittadinanza
(dal quale sarebbero ovviamente esclusi i residenti regolari ma non
cittadini italiani) a battaglie tradizionalmente della sinistra
extra-parlamentare, come la legalizzazione della Marijuana. Li
accomuna l'antieuropeismo e la convinzione che, per uscire dalla
crisi, i rispettivi paesi debbano uscire dalla moneta unica e tornare
indietro alle monete nazionali.
Perché il nazionalismo
prospera in un Europa pacificata ed unita ormai da anni?
E' chiaro che la crisi
economica che sta sconvolgendo l'Europa (in particolare quella del
sud) costituisce il background
ideale per il prosperare di ideologie estreme: il nazismo stesso
nacque dalla profondissima e drammatica crisi economica della
Repubblica di Weimar, così come la Rivoluzione d'Ottobre affonda le
sue radici nella povertà e nell'arretratezza della Russia zarista.
Attribuire esclusivamente alla crisi economica ed alla conseguente
disoccupazione dilagante le colpe della nuova avanzata dei
nazionalismi antieuropeisti non può essere che frutto di un'analisi
miope e superficiale della questione. L'Unione Europea nasce proprio
sulle rovine ideologiche dei grandi regimi dittatoriali europei,
contrapponendo al fanatismo nazionalista la libera cooperazione tra
stati: da questo presupposto nel 1958 nasce la CEE, la comunità
economica europea. Nel segno di questo percorso, si è
cercato di dare a questa nuova “comunità” un'accezione più
completa, non solo economica ma anche sociale e politica: processo
culminato nel 1992 con il Trattato di Maastricht che, si avvicinò concettualmente al significato di “comunità” sottraendo il termine "economia" dall'equazione (cambia il nome della CEE in
Comunità Europea).
Secondo
il sociologo Ferdinand Tonnies, primo ad analizzare le comunità dal
punto di vista sociologico, “ogni
convivenza confidenziale, intima, esclusiva [...] viene intesa come
vita in comunità; la società è invece il pubblico, è il mondo. In
comunità con i suoi una persona si trova dalla nascita, legata a
essi nel bene e nel male, mentre si va in società come in terra
straniera”. Proprio questo è ciò che l'establishment
europeo
ha perso di vista: l'Europa, per essere una comunità, deve essere
“la casa” del cittadino; deve esserne rappresentazione ed
emanazione, deve dargli voce per farlo sentire legato a quella
realtà. Invece di sviluppare gli aspetti che avrebbero potuto creare
coesione sociale e senso d'appartenenza europeo, dal Trattato di
Maastricht la vecchia Comunità Economica Europea è diventata
non una comunità di cittadini europei ma una specie di Unione
Economica intra-nazionale. Le misure che più hanno cambiato la vita
dei cittadini del Vecchio Continente sono state infatti l'adozione
dell'Euro come moneta unica e la libera circolazione di persone e
merci sul territorio comunitario. Nessuna politica efficace è stata
adottata per creare un senso d'appartenenza all'Unione.
Ribaltando
il concetto si può affermare che il senso di appartenenza verso un
istituzione si può creare anche stimolando i membri a partecipare
alla vita pubblica e politica di tale istituzione. In questo senso,
l'Unione Europea è stata creata per non essere rappresentativa dei
suo cittadini, bensì per rappresentare i governi degli stati membri.
In effetti, i cittadini votano per rinnovare il parlamento europeo, un' istituzione che realmente non ha alcun potere
decisionale. Le sue delibere non sono vincolanti (ma può fornire
“raccomandazioni”) tranne in alcuni casi dove è chiamato a
ratificare trattati o accordi internazionali che comportano spese. Il
vero organo politico dell'Unione è il Consiglio europeo,
formato dai capi di stato dei paesi membri, dei vari ministri degli
esteri e dal Presidente della Commissione europea. Visto che il
Consiglio europeo non può essere un organo in riunione permanente
sono stati pensati, per supplire a questo “vuoto” decisionale, il
cosiddetto Consiglio dei ministri europeo (formato dai singoli
ministri dei vari stati) e la sopracitata Commissione europea, organo
che fa sostanzialmente le veci del Consiglio europeo poiché agisce
“nel quadro degli orientamenti politici del presidente” il quale
è nominato a sua volta dal Consiglio (anche se la nomina deve essere ratificata
dal Parlamento). Il Presidente può anche decidere l'organizzazione
interna della commissione ed obbligare alle dimissioni un qualsiasi
suo componente; solo il Parlamento europeo può sfiduciarlo con una
mozione di censura, che ha comunque bisogno della maggioranza
qualificata. Risultato: nessuna mozione di censura proposta nel
Parlamento europeo è mai stata approvata.
Appare
chiaro che questa Unione è l'Unione dei governi, e non l'Unione dei
cittadini, che non hanno praticamente nessuno strumento
per incidere sull'indirizzo politico dato dal Consiglio. Ogni membro
del Consiglio Europeo, essendo contemporaneamente anche Capo di
Stato, agirà solo nell'interesse della sua Nazione, avendo come ultimo giudice non i cittadini
europei, ma quelli del proprio Stato d'appartenenza. Ovviamente
il “peso politico” di ogni membro del consiglio dipenderà dal
peso specifico del proprio stato nell'economia dell'Unione: non è un
caso se nell'ultimo lustro tutte le decisioni più importanti dell'UE
dipendono dal benestare del Cancelliere tedesco Merkel. Questo
sistema ha portato ad un enorme disaffezione verso l'UE, basti
pensare che l'affluenza alle elezioni europee è sempre stata in calo
dal 1979, e che negli ultimi 20 anni è passata da un poco
rassicurante 56,7% del 1994 ad un ancor peggiore 43% del 2009.
Abbiamo
visto come, dall'inizio della crisi, l'Unione Europea abbia imposto
profonde e gravissime riforme economiche ai paesi più in difficoltà
dell'eurozona (Grecia, Italia e Spagna). Tralasciando l'efficacia (al
momento scarsa) di tali misure, mi chiedo: può un organo politico
non rappresentativo e molto distante dalla cittadinanza come l'UE,
dove gli stati più poderosi si impongono su quelli in
difficoltà, essere legittimo? C'è veramente da meravigliarsi se
molti cittadini europei siano politicamente orientati verso partiti
nazionalisti e anti-europeisti?
Andrea Pecoraro
Andrea Pecoraro
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