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giovedì 17 aprile 2014

L'avanzata del neonazismo in Europa e le responsabilità politiche dell'Unione

Con le elezioni in Ungheria di pochi giorni fa, siamo di fronte ad una nuova avanzata dei partiti neonazisti ed antieuropeisti in Europa. Jobbik, partito di ultradestra Ungherese, ha conquistato ben il 20,5% dei voti, affermandosi come il terzo partito magiaro. Supporta l'organizzazione paramilitare denominata “Guardia Nazionale Ungherese” ed è un partito a forti tinte nazionaliste, razziste (in particolare anti-rom) ed antieuropeiste.
Basti pensare che pochi mesi fa a Budapest un parlamentare di Jobbik ha, durante un comizio, bruciato una bandiera dell'UE. In Grecia la situazione è ancor peggiore, considerando che Alba Dorata, partito anch'esso contrario all'Unione Europea che più esplicitamente di Jobbik si rifà ad Hitler ed alla razza ariana, ha conquistato circa il 7% alle elezioni politiche del 2012, raggiungendo il 10% dei voti nell'Attica. Diversa la situazione in Ucraina, dove Svoboda, partito anch'esso razzista di matrice nazista, non è antieuropeista bensì europeista (apparentemente) convinto, in quanto si distingue per una forte opposizione al comunismo che si è modernamente tradotta in un'avversione alla Russia ed alla sua influenza. Alle elezioni politiche del 2012 Svoboda conquista per la prima volta un posto in parlamento grazie all'ottimo 10.4% dei voti, che lo porta a diventare il quarto partito ucraino con ben 38 seggi. In questo momento, dopo la nota rivoluzione contro Yanukovic, i Ministeri della Difesa, Agricoltura e delle Risorse Naturali ed il ruolo di Vice primo ministro sono in mano a esponenti di questa formazione politica. E' chiaro che al momento Svoboda auspica un alleanza economica e militare con l'UE e l'occidente per smarcarsi dall'influenza russa; mi domando quale sarà la loro posizione riguardo alla stessa UE se dovesse accogliere l'Ucraina al suo interno e, nella cornice di una forte crisi economica ed occupazionale, imporre le drastiche misure economiche che ha subito la Grecia.
Oltre a queste forze estremiste, in Europa si sta affermando anche un antieuropeismo non marcatamente neonazista, ma che comunque adotta toni molto forti, talvolta violenti. Il riferimento è al Front National di Marine Le Pen ed al MoVimento 5 Stelle di Giuseppe Grillo. Se il partito della Le Pen, forte della vittoria in ben 13 Comuni alle recenti elezioni amministrative francesi, è segnatamente un partito di destra nazionalista, il MoVimento di Grillo galleggia fra proposte di stampo nazionalsocialista come il reddito di cittadinanza (dal quale sarebbero ovviamente esclusi i residenti regolari ma non cittadini italiani) a battaglie tradizionalmente della sinistra extra-parlamentare, come la legalizzazione della Marijuana. Li accomuna l'antieuropeismo e la convinzione che, per uscire dalla crisi, i rispettivi paesi debbano uscire dalla moneta unica e tornare indietro alle monete nazionali.
Perché il nazionalismo prospera in un Europa pacificata ed unita ormai da anni?
E' chiaro che la crisi economica che sta sconvolgendo l'Europa (in particolare quella del sud) costituisce il background ideale per il prosperare di ideologie estreme: il nazismo stesso nacque dalla profondissima e drammatica crisi economica della Repubblica di Weimar, così come la Rivoluzione d'Ottobre affonda le sue radici nella povertà e nell'arretratezza della Russia zarista. Attribuire esclusivamente alla crisi economica ed alla conseguente disoccupazione dilagante le colpe della nuova avanzata dei nazionalismi antieuropeisti non può essere che frutto di un'analisi miope e superficiale della questione. L'Unione Europea nasce proprio sulle rovine ideologiche dei grandi regimi dittatoriali europei, contrapponendo al fanatismo nazionalista la libera cooperazione tra stati: da questo presupposto nel 1958 nasce la CEE, la comunità economica europea. Nel segno di questo percorso, si è cercato di dare a questa nuova “comunità” un'accezione più completa, non solo economica ma anche sociale e politica: processo culminato nel 1992 con il Trattato di Maastricht che, si avvicinò concettualmente al significato di “comunità” sottraendo il termine "economia" dall'equazione (cambia il nome della CEE in Comunità Europea).
Secondo il sociologo Ferdinand Tonnies, primo ad analizzare le comunità dal punto di vista sociologico, “ogni convivenza confidenziale, intima, esclusiva [...] viene intesa come vita in comunità; la società è invece il pubblico, è il mondo. In comunità con i suoi una persona si trova dalla nascita, legata a essi nel bene e nel male, mentre si va in società come in terra straniera”. Proprio questo è ciò che l'establishment europeo ha perso di vista: l'Europa, per essere una comunità, deve essere “la casa” del cittadino; deve esserne rappresentazione ed emanazione, deve dargli voce per farlo sentire legato a quella realtà. Invece di sviluppare gli aspetti che avrebbero potuto creare coesione sociale e senso d'appartenenza europeo, dal Trattato di Maastricht la vecchia Comunità Economica Europea è diventata non una comunità di cittadini europei ma una specie di Unione Economica intra-nazionale. Le misure che più hanno cambiato la vita dei cittadini del Vecchio Continente sono state infatti l'adozione dell'Euro come moneta unica e la libera circolazione di persone e merci sul territorio comunitario. Nessuna politica efficace è stata adottata per creare un senso d'appartenenza all'Unione.
Ribaltando il concetto si può affermare che il senso di appartenenza verso un istituzione si può creare anche stimolando i membri a partecipare alla vita pubblica e politica di tale istituzione. In questo senso, l'Unione Europea è stata creata per non essere rappresentativa dei suo cittadini, bensì per rappresentare i governi degli stati membri. In effetti, i cittadini votano per rinnovare il parlamento europeo, un' istituzione che realmente non ha alcun potere decisionale. Le sue delibere non sono vincolanti (ma può fornire “raccomandazioni”) tranne in alcuni casi dove è chiamato a ratificare trattati o accordi internazionali che comportano spese. Il vero organo politico dell'Unione è il Consiglio europeo, formato dai capi di stato dei paesi membri, dei vari ministri degli esteri e dal Presidente della Commissione europea. Visto che il Consiglio europeo non può essere un organo in riunione permanente sono stati pensati, per supplire a questo “vuoto” decisionale, il cosiddetto Consiglio dei ministri europeo (formato dai singoli ministri dei vari stati) e la sopracitata Commissione europea, organo che fa sostanzialmente le veci del Consiglio europeo poiché agisce “nel quadro degli orientamenti politici del presidente” il quale è nominato a sua volta dal Consiglio (anche se la nomina deve essere ratificata dal Parlamento). Il Presidente può anche decidere l'organizzazione interna della commissione ed obbligare alle dimissioni un qualsiasi suo componente; solo il Parlamento europeo può sfiduciarlo con una mozione di censura, che ha comunque bisogno della maggioranza qualificata. Risultato: nessuna mozione di censura proposta nel Parlamento europeo è mai stata approvata.
Appare chiaro che questa Unione è l'Unione dei governi, e non l'Unione dei cittadini, che non hanno praticamente nessuno strumento per incidere sull'indirizzo politico dato dal Consiglio. Ogni membro del Consiglio Europeo, essendo contemporaneamente anche Capo di Stato, agirà solo nell'interesse della sua Nazione, avendo come ultimo giudice non i cittadini europei, ma quelli del proprio Stato d'appartenenza. Ovviamente il “peso politico” di ogni membro del consiglio dipenderà dal peso specifico del proprio stato nell'economia dell'Unione: non è un caso se nell'ultimo lustro tutte le decisioni più importanti dell'UE dipendono dal benestare del Cancelliere tedesco Merkel. Questo sistema ha portato ad un enorme disaffezione verso l'UE, basti pensare che l'affluenza alle elezioni europee è sempre stata in calo dal 1979, e che negli ultimi 20 anni è passata da un poco rassicurante 56,7% del 1994 ad un ancor peggiore 43% del 2009.
Abbiamo visto come, dall'inizio della crisi, l'Unione Europea abbia imposto profonde e gravissime riforme economiche ai paesi più in difficoltà dell'eurozona (Grecia, Italia e Spagna). Tralasciando l'efficacia (al momento scarsa) di tali misure, mi chiedo: può un organo politico non rappresentativo e molto distante dalla cittadinanza come l'UE, dove gli stati più poderosi si impongono su quelli in difficoltà, essere legittimo? C'è veramente da meravigliarsi se molti cittadini europei siano politicamente orientati verso partiti nazionalisti e anti-europeisti?

Andrea Pecoraro

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