"Il brutale messaggio dell'Election Day è che la presidenza Obama è finita". Così scrive il New York Times commentando i risultati delle Mid-term americane che hanno visto il Grand Old Party riconquistare il Senato dopo otto anni e consolidare la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti. La disfatta dei democratici è nei numeri; degli stati considerati incerti alla vigilia, solo uno - la Virginia - ha confermato il senatore democratico Mark Warner, per poche migliaia di voti, mentre West Virginia (da 30 anni in mano ai dem), North Carolina, Colorado, Iowa, Arkansas, South Dakota, Montana, Alaska e (molto probabilmente) Louisiana hanno eletto senatori repubblicani. Alla Camera le cose sono andate anche peggio e, se il Gop dovesse conquistare appena 4 dei 14 seggi da assegnare ancora nei ballottaggi, avrebbe la più ampia maggioranza dai tempi della presidenza di Herbert Hoover (1929- 1933). Eppure, la presidenza Obama sembra vantare risultati economici tutt'altro che disprezzabili; il Pil americano nel terzo trimestre del 2014 è cresciuto del 3.5%, mentre l'Europa combatte ancora contro recessione e deflazione; il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6%, con oltre 200000 nuovi occupati. Le politiche espansive volute da Obama, e sostenute da forti immissioni di liquidità da parte della Fed, sono state accompagnate da lungimiranti investimenti su ricerca scientifica e alta formazione. L'Obamacare, nonostante l'opposizione dei repubblicani e delle lobby farmaceutiche, sta cominciando a funzionare, riducendo i prezzi delle polizze assicurative.
Quello che ha convinto molti americani a voltare le spalle al presidente in carica è la paralisi in cui versa negli ultimi anni il Congresso, giudicato il peggiore del dopoguerra, e una politica estera confusa, oscillante tra la necessità di ridurre l'impegno militare per affrontare la crisi economica interna e il dovere di combattere il terrorismo internazionale a giro per il mondo. La guerra in Libia, i contrasti con la Siria e l'Iran, i rapporti mai così tesi con la Russia di Putin, la minaccia odierna dell' Isis sono stati affrontati senza un disegno strategico e una visione chiara e coerente sul futuro degli assetti geo-politici globali.
I repubblicani, seppur privi ancora di una leadership credibile e di un programma concreto, sono stati abilissimi a capitalizzare le incertezze del presidente su molti dossier e a scaricare su di lui la responsabilità della stasi congressuale, e ora guardano con crescente ottimismo alle prossime presidenziali tra due anni. Obama non potrà ricandidarsi, e probabilmente passerà il testimone al suo ex-Segretario di Stato, Hillary Clinton. Restano altri due anni di mandato, dove i nuovi equilibri politici e l'approssimarsi della contesa elettorale spingerà ragionevolmente i repubblicani ad un atteggiamento ancora più critico e aggressivo nei confronti della sua amministrazione.
Un finale di partita sicuramente triste per il primo presidente di colore e dichiaratamente socialista della storia degli Stati Uniti d'America. Un lungo addio.
Giulio Aronica
Un finale di partita sicuramente triste per il primo presidente di colore e dichiaratamente socialista della storia degli Stati Uniti d'America. Un lungo addio.
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