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lunedì 10 novembre 2014

Il lungo addio

"La conquista della maggioranza al Senato da parte dei repubblicani significa il rifiuto delle fallimentari politiche del presidente Obama" (Reince Preibus, Presidente del Grand Old Party)


"Il brutale messaggio dell'Election Day è che la presidenza Obama è finita". Così scrive il New York Times commentando i risultati delle Mid-term americane che hanno visto il Grand Old Party riconquistare il Senato dopo otto anni e consolidare la maggioranza alla Camera dei Rappresentanti. La disfatta dei democratici è nei numeri; degli stati considerati incerti alla vigilia, solo uno - la Virginia - ha confermato il senatore democratico Mark Warner, per poche migliaia di voti, mentre West Virginia (da 30 anni in mano ai dem), North Carolina, Colorado, Iowa, Arkansas, South Dakota, Montana, Alaska e (molto probabilmente) Louisiana hanno eletto senatori repubblicani. Alla Camera le cose sono andate anche peggio e, se il Gop dovesse conquistare appena 4 dei 14 seggi da assegnare ancora nei ballottaggi, avrebbe la più ampia maggioranza dai tempi della presidenza di Herbert Hoover (1929- 1933). Eppure, la presidenza Obama sembra vantare risultati economici tutt'altro che disprezzabili; il Pil americano nel terzo trimestre del 2014 è cresciuto del 3.5%, mentre l'Europa combatte ancora contro recessione e deflazione; il tasso di disoccupazione è sceso sotto il 6%, con oltre 200000 nuovi occupati. Le politiche espansive volute da Obama, e sostenute da forti immissioni di liquidità da parte della Fed, sono state accompagnate da lungimiranti investimenti su ricerca scientifica e alta formazione. L'Obamacare, nonostante l'opposizione dei repubblicani e delle lobby farmaceutiche, sta cominciando a funzionare, riducendo i prezzi delle polizze assicurative.
Quello che ha convinto molti americani a voltare le spalle al presidente in carica è la paralisi in cui versa negli ultimi anni il Congresso, giudicato il peggiore del dopoguerra, e una politica estera confusa, oscillante tra la necessità di ridurre l'impegno militare per affrontare la crisi economica interna e il dovere di combattere il terrorismo internazionale a giro per il mondo. La guerra in Libia, i contrasti con la Siria e l'Iran, i rapporti mai così tesi con la Russia di Putin, la minaccia odierna dell' Isis sono stati affrontati senza un disegno strategico e una visione chiara e coerente sul futuro degli assetti geo-politici globali.
I repubblicani, seppur privi ancora di una leadership credibile e di un programma concreto, sono stati abilissimi a capitalizzare le incertezze del presidente su molti dossier e a scaricare su di lui la responsabilità della stasi congressuale, e ora guardano con crescente ottimismo alle prossime presidenziali tra due anni. Obama non potrà ricandidarsi, e probabilmente passerà il testimone al suo ex-Segretario di Stato, Hillary Clinton. Restano altri due anni di mandato, dove i nuovi equilibri politici e l'approssimarsi della contesa elettorale spingerà ragionevolmente i repubblicani ad un atteggiamento ancora più critico e aggressivo nei confronti della sua amministrazione.
Un finale di partita sicuramente triste per il primo presidente di colore e dichiaratamente socialista della storia degli Stati Uniti d'America. Un lungo addio.

Giulio Aronica

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