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giovedì 5 giugno 2014

In difesa della Comunicazione Politica

Circa la conclusa campagna elettorale per le elezioni europee ho sentito da opinionisti politici vari commenti tipo “questa campagna per le europee è stata una campagna di comunicazione, non ci sono stati contenuti”, oppure “Renzi e Grillo si sono scontrati sulla comunicazione, e non sui temi”, o altri su questa falsariga. Molti amici, ed alcuni di questi opinionisti, sembrano provare insofferenza verso la moderna comunicazione politica, vista un po' come una chimera che ha rubato la scena al dibattito e sacrificato le tribune politiche per selfie da Facebook e slogan da talk show. Il mio sguardo su questo tema ha lo svantaggio di non essere neutro, ma il vantaggio di essere uno sguardo “tecnico”. Sono infatti laureato in Comunicazione e consulenza politica e ho lavorato in alcune campagne elettorali, grandi e piccole: posso definirmi, anche sa da pochissimo, uno “del settore”.
Moltissime persone, molte delle quali si collocano a sinistra, vedono le moderne tecniche di comunicazione politica come qualcosa che è in contrapposizione ai contenuti, qualcosa che anzi serve solo a tappare falle ideologiche e costringe alla estrema semplificazione del messaggio, abbassando inesorabilmente il livello del dibattito. Tutte queste cose, in senso lato, sono vere. Ma è il punto d'osservazione della questione che è sbagliato. La comunicazione è un mezzo che serve per veicolare nella miglior maniera possibile i contenuti dal soggetto comunicante ai destinatari; una buona comunicazione quindi deve tener in conto i destinatari, cercando le forme migliori per far sì che il messaggio non sia meramente ascoltato, ma sia recepito ed interiorizzato.
E' con questo fine che la teoria della comunicazione politica raccomanda, soprattutto nel caso di comunicazione web e materiale elettorale cartaceo, che un concetto sia ridotto alla sua sostanza, essenzializzato. Un concetto espresso in maniera sintetica ed efficace viene recepito più facilmente e velocemente dal destinatario, e questo è fondamentale data la scarsa attenzione (ahimè) che gli elettori prestano ai messaggi politici. In realtà se il concetto è valido, forte, evocativo e strutturato non perderà la sua forza e la sua efficacia se ridotto nel suo nucleo fondamentale: ridurre un idea all'essenza del suo significato non la rende una cattiva idea, né svuotarla. Anzi, concettualmente un'idea è il cuore di un intero ragionamento, e se questa è imprecisa o fallace allora anche il ragionamento che vi si costruisce intorno lo sarà di conseguenza. Ad esempio, la frase-manifesto “il comunismo è la dittatura del proletariato” è sicuramente una semplificazione, e nemmeno sostanzialmente esplicativa, del concetto di comunismo; ma è rivoluzionaria nel lessico e perfetta nella sua forma, che non solo non svuota l'idea di significato, ma la potenzia attribuendole un alone quasi mistico. Ridurre un'idea al suo nocciolo per permetterne la diffusione non vuol dire neanche cancellare il ragionamento più ampio e strutturato che ci si può costruire intorno; le persone che si scoprono interessate all'idea avranno sicuramente modo di approfondire la questione.
Tutto comunque parte da un concetto chiave: il messaggio, l'idea. Se ci sono campagne elettorali, come quella appena conclusasi, che non hanno contenuti in grado di creare un dibattito, ecco che inevitabilmente il centro della campagna, ed il terreno di scontro degli attori politici, diventa la comunicazione politica. E' in assenza di messaggi di “spessore” che la differenza fra vittoria e sconfitta può essere sancita da un selfie in palestra o una citazione di Berlinguer. Questa è una situazione che non è figlia della modernizzazione della comunicazione politica, né dell'avvento dei socials, ma anzi è un contesto in cui professionisti del settore sono intrappolati, e che vede la comunicazione politica ridotta a barcamenarsi fra gossip e intrattenimento. Questo per dire che è sbagliato sostenere che la comunicazione impoverisce i contenuti; è vero però che ci sono formazioni politiche che cercano di supplire alla povertà ideologica dei loro programmi con una comunicazione efficace e strutturata. È come dare la colpa al megafono se il messaggio che trasmette è povero di contenuti.
Su questa stessa linea di ragionamento voglio contestare anche l'idea che è per colpa della comunicazione ammiccante e fuorviante che i cittadini si fanno attrarre da proposte politiche poco profonde o strutturate. Che la comunicazione sia usata come maquillage di programmi fallaci è indubbio. E' però eccessivamente ingenuo pensare che esista una comunicazione “buona” al servizio del “bene” politico ed una “cattiva” che si presta ai più bassi slogan acchiappa elettori. Senza contare il fatto che il concetto di bene o male, in politica come nella vita, è del tutto soggettivo. Dico questo partendo dal presupposto fondamentale che fare comunicazione politica è trasmettere un messaggio nella miglior maniera possibile: la diffusione di notizie false o volontariamente mistificate a scopo elettorale non è prassi della comunicazione politica, ma del malcostume. Mi riferisco invece a casi dove slogan di bassa lega, generici e qualunquisti, accompagnati da proposte politiche con gli stessi difetti hanno avuto presa su molte persone. Qui la riflessione è da spostare sugli elettori, che paiono sempre meno coinvolti nella res publica, sempre più sfiduciati e quindi meno stimolati ad informarsi e ragionare sulle proposte politiche: tanto, alla fine, “sono tutti uguali”.
In questa situazione la comunicazione può svolgere, e in parte lo sta già facendo, un ruolo mobilitante e catalizzante, per risvegliare la curiosità e l'interesse dei cittadini verso la politica e i suoi obiettivi, orizzonti e progetti.
Per fare politica, in conclusione, servono due cose: avere qualcosa da dire e dirla nel modo giusto.


Andrea Pecoraro

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