Circa la conclusa
campagna elettorale per le elezioni europee ho sentito da opinionisti
politici vari commenti tipo “questa campagna per le europee è
stata una campagna di comunicazione,
non ci sono stati contenuti”, oppure “Renzi e Grillo si sono
scontrati sulla comunicazione,
e non sui temi”, o altri su questa falsariga.
Molti amici, ed alcuni di questi opinionisti, sembrano provare
insofferenza verso la moderna comunicazione politica, vista un po'
come una chimera che ha rubato la scena al dibattito e sacrificato le
tribune politiche per selfie da
Facebook e slogan da talk show.
Il mio sguardo su questo tema ha
lo svantaggio di non essere neutro, ma il vantaggio di essere uno
sguardo “tecnico”. Sono infatti laureato in Comunicazione e
consulenza politica e ho lavorato in alcune campagne elettorali,
grandi e piccole: posso definirmi, anche sa da pochissimo, uno “del
settore”.
Moltissime
persone, molte delle quali si collocano a sinistra, vedono le moderne
tecniche di comunicazione politica come qualcosa che è in
contrapposizione ai contenuti, qualcosa che anzi serve solo a tappare
falle ideologiche e costringe alla estrema semplificazione del
messaggio, abbassando inesorabilmente il livello del dibattito. Tutte
queste cose, in senso lato, sono vere. Ma è il punto d'osservazione
della questione che è sbagliato. La comunicazione è un mezzo che
serve per veicolare nella miglior maniera possibile i contenuti dal
soggetto comunicante ai destinatari; una buona comunicazione quindi
deve tener in conto i destinatari, cercando le forme
migliori per far sì che il messaggio non sia meramente ascoltato,
ma sia recepito
ed interiorizzato.
E'
con questo fine che la teoria della comunicazione politica
raccomanda, soprattutto nel caso di comunicazione web e
materiale elettorale cartaceo, che un concetto sia ridotto alla sua
sostanza, essenzializzato. Un concetto espresso in maniera sintetica
ed efficace viene recepito più facilmente e velocemente dal
destinatario, e questo è fondamentale data
la scarsa attenzione (ahimè) che gli elettori prestano ai
messaggi politici. In realtà se il concetto è valido, forte,
evocativo e strutturato non perderà la sua forza e la sua efficacia
se ridotto nel suo nucleo fondamentale: ridurre un idea all'essenza
del suo significato non la rende una cattiva idea, né svuotarla.
Anzi, concettualmente un'idea è il cuore di un intero ragionamento,
e se questa è imprecisa o fallace allora anche il ragionamento che
vi si costruisce intorno lo sarà di conseguenza. Ad esempio, la
frase-manifesto “il comunismo è la dittatura del proletariato” è
sicuramente una semplificazione, e nemmeno sostanzialmente
esplicativa, del concetto di comunismo; ma è rivoluzionaria nel
lessico e perfetta nella sua forma, che non solo non svuota l'idea di
significato, ma la potenzia attribuendole un alone quasi mistico.
Ridurre un'idea al suo nocciolo per permetterne la diffusione non
vuol dire neanche cancellare il ragionamento più ampio e strutturato
che ci si può costruire intorno; le persone che si scoprono
interessate all'idea avranno sicuramente modo di approfondire la
questione.
Tutto
comunque parte da un concetto chiave: il messaggio, l'idea. Se ci
sono campagne elettorali, come quella appena conclusasi, che non
hanno contenuti in grado di creare un dibattito, ecco che
inevitabilmente il centro della campagna, ed il terreno di scontro
degli attori politici, diventa la comunicazione politica. E' in
assenza di messaggi di “spessore” che la differenza fra vittoria
e sconfitta può essere sancita da un selfie
in palestra o una
citazione di Berlinguer. Questa è una situazione che non è figlia
della modernizzazione della comunicazione politica, né dell'avvento
dei socials,
ma anzi è un contesto in cui professionisti del settore sono
intrappolati, e che vede la comunicazione politica ridotta a
barcamenarsi fra gossip
e intrattenimento.
Questo per dire che è
sbagliato sostenere che la comunicazione impoverisce i contenuti;
è vero però che ci sono formazioni politiche che cercano di
supplire alla povertà ideologica dei loro programmi con una
comunicazione efficace e strutturata. È come dare la colpa al
megafono se il messaggio che trasmette è povero di contenuti.
Su
questa stessa linea di ragionamento voglio contestare anche l'idea
che è per colpa della comunicazione ammiccante e fuorviante che i
cittadini si fanno attrarre da proposte politiche poco profonde o
strutturate. Che la comunicazione sia usata come maquillage di
programmi fallaci è indubbio. E' però eccessivamente ingenuo
pensare che esista una comunicazione “buona” al servizio del
“bene” politico ed una “cattiva” che si presta ai più bassi
slogan acchiappa elettori. Senza contare il fatto che il concetto di
bene o male, in politica come nella vita, è del tutto soggettivo.
Dico questo partendo dal presupposto fondamentale che fare
comunicazione politica è trasmettere un messaggio nella miglior
maniera possibile: la diffusione di notizie false o volontariamente
mistificate a scopo elettorale non è prassi della comunicazione
politica, ma del malcostume. Mi riferisco invece a casi dove slogan
di bassa lega, generici e qualunquisti, accompagnati da proposte
politiche con gli stessi difetti hanno avuto presa su molte persone.
Qui la riflessione è da spostare sugli elettori, che paiono sempre
meno coinvolti nella res publica, sempre più sfiduciati e
quindi meno stimolati ad informarsi e ragionare sulle proposte
politiche: tanto, alla fine, “sono tutti uguali”.
In
questa situazione la comunicazione può svolgere, e in parte lo sta
già facendo, un ruolo mobilitante e catalizzante, per risvegliare la
curiosità e l'interesse dei cittadini verso la politica e i suoi
obiettivi, orizzonti e progetti.
Per
fare politica, in conclusione, servono due cose: avere qualcosa
da dire e dirla nel modo giusto.
Andrea
Pecoraro
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